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mercoledì 5 novembre 2014

NON SONO UN'OCA, MA NEMMENO UNA PECORA. LA MIA OPINIONE SUL CASO MONCLER.

Voglio inaugurare il nuovo header del blog dicendo quello che penso sul "caso Moncler". 
In molti hanno visto la puntata sulla piuma d'oca, in molti ne hanno sentito parlare via web, quasi tutti si sono scatenati contro l'azienda indignati. Anche se credo che questa indignazione finirà davvero presto. 

Io, lavorando nel settore moda, e avendo una minima cognizione sul funzionamento delle aziende, vi vorrei dare un'opinione, che rimane comunque idea personale e soggettiva. Voglio permettere che non mi piace il prodotto Moncler, mai l'ho comprato e mai lo comprerei, ma quello che state per leggere non ha nulla a che vedere con questo. Si tratta di una pura riflessione sull'argomento.

Inizio concordando sul fatto che sia immorale e riprovevole che le oche vengano spennate, o meglio scuoiate, vive a quel modo (io non sono riuscita a guardare). Non avevo mai sentito nessuno parlare di come si produca eticamente un piumino, anzi davo per scontato che come per la tosatura delle pecore fosse un procedimento indolore per l'animale. Infatti la questione è molto semplice da questo punto di vista: per legge le piume dovrebbero essere raccolte solo nel periodo della naturale muta del piumaggio. 
Esistono aziende che si sono riunite in una associazione che svolge attività di ricerca e sviluppo sulla materia prima e sul prodotto finito, la European Down and Feather Association  http://www.edfa.eu/, di cui solo 3 aziende italiane fanno parte. Sicuramente dal loro sito si possono trovare informazioni interessanti per approfondire.


Ho trovato assurda la schermata di home di Moncler, assolutamente ridicolo demandare ai fornitori la "colpa". Tutti sanno da dove viene il prodotto. Quindi era forse meglio scusarsi o proporsi di aumentare i controlli sulla provenienza dei materiali. Anche la millantata querela è ridicola: lo sanno tutti che se la Gabanelli manda in onda una trasmissione ha le prove che documentano ciò che dice. Infatti non hanno perso una causa. Mai. 



Detto questo vengo alla questione spinosa sui costi di produzione vs prezzi al dettaglio. Mi pare che si sia fatta la solita scoperta dell'acqua calda, e non sia stato detto tutto quello che c'è da dire sulla questione. 

Posso dire, a favore di Report e come considerazione generale sul mondo lusso, che trovo assurdo delocalizzare all'estero per un risparmio di 20 euro a capo. Cioè su un capo che costa 40 euro di manodopera, che cambia spenderne 60? Chiaro, su grossi volumi cambia eccome, ma non penso che chi è disposto a spendere uno stipendio per comprare una giacchetta stia a guardare una differenza di 20 euro sul prezzo finale. Spendi 20 in più, lo fai pagare 20 in più.
Lo trovo meno assurdo però se penso alle leggi e leggine che regolano il mercato del lavoro italiano. Il problema non è tanto il costo della manodopera in sé: il problema sono tutti i costi accessori e le magagne burocratiche e legali a cui l'imprenditore va incontro. Si tratta di un tema dibattuto e complesso, dove finiscono per essere coinvolti sia l'onesta e la buona fede dei lavoratori che quella degli imprenditori. 




Per quanto riguarda il prezzo finale del prodotto di lusso, invece, report non vi ha detto che questo è influenzato non solo dal costo di produzione, ma da tutti i costi accessori. Se non avete un'idea di quali possano essere vi faccio un elenco:

- il personale nella sedi centrali che si occupano di stile, campionario, struttura di collezione (merchandising), visual merchandising, store planning, commerciali, operation, hr, finance, legale , pr , grafica etc.
- I costi di acquisto, affitto, mantenimento e manutenzione di tutte le strutture: magazzini, uffici, negozi, showroom che richiedono solitamente grossi investimenti nella costruzione, parliamo di milioni di euro, e investimenti stagionali (es vetrine dedicate). 
- I costi di marketing e pr - es acquisto di pagine e inserti pubblicitari, eventi, sfilate, cataloghi e adv.

C'è poi un ricarico fisso che viene applicato al prezzo di produzione, che include tutti questi costi assieme, ed ha un fattore pari a 2.5. 




Ovviamente più l'azienda spende e investe, più il costo del prodotto aumenta. 
L'unica cosa che rimane discutibile è quindi il modello di buisness dell'azienda: meglio investire in qualità (ricerca, materia prima, manodopera) o meglio investire in immagine?  Certo è che il mondo del lusso oggi è più spostato verso la seconda, anche se gli acquirenti pensano il contrario, e spesso spendano convinti di avere la qualità. Ma non è un controsenso: le aziende ci vendono il sogno della qualità. 
Allora io spero che da questo putiferio le aziende capiscano che ci piace tantissimo il sogno, ma poi ci piacerebbe anche toccare con mano la qualità.